Nell’articolo pubblicato oggi su Corriere.it, Maria Teresa Cometto si interroga sulle valutazioni “fuori dalla realtà” di molte startup.
Sam Hamadeh, fondatore e capo della società di ricerca PrivCo, specializzata in società non quotate («private») e Bill Gurley di Benchmark, uno dei venture capitalistdi maggior successo nella Silicon Valley, sostengono che siano valutazioni «da pazzi» quelle di Uber e delle altre startup tecnologiche — da Airbnb a DropBox a Snapchat — che negli ultimi anni si sono gonfiate a livelli simili alla bolla Internet degli Anni Novanta.
“Uber, da sola, vale quasi quanto il terzo produttore al mondo di automobili, General Motors (54,9 miliardi), solo 5 miliardi meno di Ford e due volte e mezzo Fiat-Chrysler. Ma a differenza dei tre marchi di Detroit — che fabbricano milioni di automobili, sono quotati e fanno profitti — Uber vale 51 miliardi di dollari solo sulla carta, perché le sue azioni non sono scambiate in Borsa. Inoltre non produce né possiede alcuna macchina, ma si limita a mettere in contatto chi cerca un taxi «privato» e l’autista che lo guida. E i suoi conti sono in rosso.
Il problema è che «tutte queste valutazioni private sono fasulle», ha spiegato Gurley al Wsj. Di certo hanno un buon tasso di arbitrarietà. Lo dimostrano le differenze di prezzi per le azioni di una stessa startup rilevate analizzando i portafogli dei fondi che le possiedono. Per esempio lo scorso 30 giugno (ultimi rapporti disponibili) un’azione Uber valeva 40,02 dollari secondo BlackRock, 35,67 per Hartford financial services group e 33,32 per Fidelity. Ogni gestore deve infatti stimare quanto incasserebbe dalla vendita delle azioni non quotate, ma non ci sono criteri validi per tutti e stabiliti per legge.
Soprattutto, i titoli delle startup non quotate sono illiquidi. Per questo, preoccupata per l’impatto che lo scoppio della bolla può avere, la Sec (l’autorità di controllo del mercato finanziario Usa) ha iniziato ad indagare su come i gestori di fondi comuni si comportano con gli «unicorni».
Arrivati tardi a comprare un pezzetto di sogno della Silicon Valley, quei money manager perderanno un sacco di soldi e, con loro, i risparmiatori, avverte Hamadeh. L’Ipo di Square può essere l’inizio del loro risveglio. E fra poco, ripensando ai prezzi pagati, saranno costretti ad ammettere «È stata una pazzia».”